mercoledì 13 novembre 2013

Valicare l'inferno di frontiera di Poipet


Polverosa, caotica, crocevia di contrabbandieri e truffatori, Poipet rappresenta ancora la strada maestra per entrare dalla Thailandia alla Cambogia, il confine storico tra le due nazioni. Qui, Tiziano Terzani fu quasi fucilato dai Khmer Rossi, quando varcò per primo la frontiera dopo la presa di Phnom Penh. Da Aranyaprathet, ultimo centro thailandese, i giornalisti di mezzo mondo stettero, poi, per mesi a spiare quell'angolo della neonata Kampuchea Democratica, ormai ermeticamente chiusa. Poipet rimase, così, a lungo uno dei pochissimi punti di osservazione, una sorta di buco della serratura su quella nuova, misteriosa società. Dal ponte in ferro che valicava il confine, attraverso un groviglio di filo spinato, si intravvedeva una città spettrale, deserta, nella quale gruppi di giovanissimi guerriglieri si muovevano come ombre. Sempre da qui, sarebbero incominciati ad arrivare, pochi mesi dopo, i primi profughi in fuga dalla sanguinaria follia di Pol Pot. Oggi Poipet non è più nulla di tutto questo. E' semplicemente uno squallido agglomerato di casinò, percorso da viaggiatori, affaristi e avventurieri. Il viaggio da Sakaeo fino ad Aranyaprathet è stato facile e piuttosto comodo. Il posto di frontiera di Poipet si trova a 50 km da Sakaeo, dopo Aranyaphrathet c’e’ il "Rong Klua market", dove vendono di tutto, si stima che dalla citta’ di Poipet, una citta’ che in realta’ e’ un vasto agglomerato di baracche sorte sul confine tra Cambogia e Thailandia, ogni mattina oltre 10000 persone tra cui centinaia di bambini, alcuni mutilati, passano il confine per andare a lavorare in questo mercato come facchini, pulitori, raccoglitori d’immondizia, riparatori di jeans usati, e quant’altri mestieri la fantasia umana possa immaginare, il lavoro minorile e’ una prassi. a Poipet, e’ anche il punto di passaggio di traffici illeciti tra cui gran parte del traffico di minori cambogiani, (bambini rivenduti come schiavi domestici, futuri mendicanti gestiti da trafficanti, carne per il mercato della prostituzione), ogni settimana 100-150 bambini vengono rimandati a Poipet dalle autorita’ tailandesi, si sta’ firmando accordi tra questi paesi coinvolti, per agevolare il rimpatrio delle vittime che vengono arrestate per prostituzione e vagabondaggio o liberate nelle rare retate dai numerosi bordelli dove vivono in condizione di quasi schiavitu’. Ma gli ostacoli sono molti anche dove si e’ firmato l’accordo come tra Thailandia e Cambogia, collusione tra trafficanti e forze di polizia, grossi interessi economici, mancanza di strutture di accoglienza, mancanza di sensibilità delle autorita’ di frontiera, mancanza di legislazioni adeguate e la non applicazione delle poche esistenti, rendono il cammino ancora lungo. Alla stazione dei bus mi basta scegliere uno dei tanti "tuk-tuk", con i conducenti che si sbracciano a caccia di clienti. L'autista, naturalmente, non mi accompagna subito alla frontiera come mi ha, invece, assicurato. Prima, si ferma davanti ad una specie di agenzia che dovrebbe "aiutarmi" per il visto e solo il mio tono vagamente minaccioso lo convince a ripartire senza perdere altro tempo. Arrivato a destinazione, mano a mano che avanzo a piedi, l'atmosfera incomincia a cambiare. La dolcezza della campagna thailandese, sparisce quasi all'improvviso quando la strada diventa un lungo serpente metallico, fatto di interminabili file di camion che sputano smog dai tubi di scappamento traballanti. Piccoli gruppi di bambini mi circondano, tendendo le mani mentre si aggrappano giusto all'altezza delle tasche. Non a caso, " Be aware to pickpokets" è scritto su tutti i cartelli appesi ai muri. D'un tratto, alla mia sinistra vedo una sorta di autocarro. Al posto del telo, però, è chiuso dal reticolato di una gabbia alla quale un groviglio di mani si tiene aggrappato. Dentro, le persone sono ammassate una all'altra. Devono essere cambogiani che hanno cercato di attraversare clandestinamente il confine. Era la prima volta che attraversavo da solo la frontiera in questo punto anche se un mio amico mi aveva dato delle istruzioni, subito dopo il mercato c’e’ il posto di polizia thailadese, quel giorno ricordo c’era una lunga fila di turisti e non, che uscivano dalla Thailandia per entrare in Cambogia, aspettai il mio turno e dopo circa un’ora arrivai allo sportello, consegnai il passaporto e successivamente mi avviai lungo un tratto di terra di nessuno, dove transitavano bambini sporchi ma sorridenti, che trainavano carretti enormi piene di merci, alcuni siccome la giornata era molto soleggiata, ti scortavano con degli ombrelli per ripararti dal sole, in cambio di una mancia, ero frastornato da quello che stavo vedendo, in qualunque direzione guardavo vedevo solo bambini di strada, si dividevano i soldi, alcuni maschietti portavano via i soldi alle femminucce, si lavavano e si cambiavano i vestiti agli angoli della strada. Arrivato sotto una specie di tendone c’erano degli uffici e un poliziotto cambogiano distribuiva i moduli da compilare per ottenere il visto per la Cambogia e consegnava un foglio giallo dove si informava i turisti che il paese era esente dalla epidemia aviaria. Mentre compilavo, mi si avvicino’ un ragazzo cambogiano di circa 20 anni, voleva leggere cosa stavo scrivendo, io indispettito lo mandai via, poi consegnai il modulo con 1100 bath (1000 bath per il visto e 100 perche’ non avevo la foto, al poliziotto, in quell’istante si riavvicino’ il ragazzo cambogiano e mi disse servono 1500 bath per il visto, io lo guardai e gli dissi: “What do you want? You are not policeman, I known, what I have to pay for visa, go away ” Il poliziotto sentendomi, prese per il braccio il ragazzo e dicendogli qualcosa lo allontano’. Trascorso circa mezz’ora il poliziotto, dopo aver portato i documenti in ufficio, mi consegno’ il visto, io ringraziandolo gli allungai venti bath, ma lui mi guardo’ e capii dalla sua faccia che non era stato contento della mancia, sembrava dire: “Guarda sto’ farang mi fa’ l’elemosina”. Incurante mi avviai, verso il posto di frontiera cambogiano, seguito da una decina di bambini di strada, attraversando una monumentale arcata, con tre chedi in cima e una targa sulla quale si legge uno scolorito "Kingdom of Cambodia", sulla destra vidi subito l’entrata maestosa dell’Holiday Palace, un casino’ thai e a meta’ di questo tragitto ne notai altri due, dei 7 o 8 presenti in questo lembo di terra. Proibiti in Thailandia, fu’ costruita qui una piccola “ Las Vegas”, ci sono anche hotel lussuosi, centri commerciali con l’aria condizionata, centri di massaggio e bordelli dove 1000 thai arrivano qui ogni giorno attraversando la frontiera, insieme ai numerosi stranieri, l’unica moneta accettata e’ il bath e i circa 5000 lavoratori cambogiani che lavorano in queste strutture parlano esclusivamente la lingua tailandese, gli investitori provengono dalla Thailandia, dalla Cambogia, dalla Malesia, dall’Indonesia e dalla Cina e lo staff dirigenziale e’ composto anche da americani, inglesi, australiani e francesi. Da quando e’ stata costruita questa piccola “ Las Vegas”, gli abitanti di Poipet sono vertiginosamente aumentati, dalle 9244 famiglie del ’98 alle oltre 100000 di oggi. Ai piazzali di queste strutture i bambini non si avvicinavano, per chiedere soldi ai frequentatori di questi posti di lusso che contrastavano con la miseria che si vedeva in strada, mi spiegarono in seguito che non si avventurano a chiedere l’elemosina in questi hotel-casino’, che hanno un giro d’affari di decine di milioni di dollari all’anno, perche’ la polizia li prende e li picchia, allora mi domandai: “ Non possono disturbare i frequentatori di questi posti dove viene sperperato denaro, ma possono infastidire i farang impegnati nelle pratiche di visto”. Giunto in questo piccolo ufficio di frontiera mentre aspetto che i poliziotti mi timbrino il passaporto, notai vicino agli sportelli una porta che si apri’ e cosa vidi? Due bambine cambogiane sorridenti che con i loro grandi occhi mi fissavano, ero turbato dai loro sguardi, gli diedi 10 bath a testa e contente se ne andarono, (lo so’, non bisognerebbe dare assolutamente soldi a questi bambini, questo per evitare di abituarli alla strada e a guadagnarsi da vivere in questo modo, ma soprattutto perche’ i soldi raramente rimangono ai bambini. Ma come si fa’ a rimanere indifferenti davanti a quei occhi innocenti che ti osservano, chissa’ cosa passa nella loro mente?). Inoltre altri bambini di strada si sedevano per terra e osservavano tra le gambe se qualche persona appoggiava, qualche borsa o effetto personale per farglielo sparire. Giunto il mio turno feci vedere il passaporto, mi misero un timbro e uscii. Appena fui in strada, non ho potuto fare a meno di notare le differenze rispetto all'ufficio thailandese. Un grande locale moderno, raffreddato da una forte aria condizionata, luminoso, con i soffitti alti e sei sportelli per smaltire le code. Il corrispettivo cambogiano è uno stanzino buio, caldo e umido, il cui unico arredamento consiste in una pancaccia di legno. In fondo ci sono solo due guardiole, occupate da agenti dall'aria indolente e dall'aspetto trasandato. Il cielo aveva cambiato colore, chiuso da una fitta coltre di nuvole lattiginose. Davanti a me c'era una piazza polverosa ma non sono riuscito nemmeno a raggiungerla, perché un piccolo esercito di uomini, vocianti e chiassosi, mi circondo’ all'improvviso, volevano sapere dove intendevo andare. Desidero forse arrivare a Siem Reap? In questo caso, mi dice uno di loro con una targhetta appuntata sulla camicia, c'è un autobus gratuito diretto alla stazione dei pullman. Altri tre, alle sue spalle, annuiscono e mi invitano ad ascoltarlo. Intanto i tassisti si avvicinano, a turno, e mi offrono corse per 45/50 dollari. "Non salga su di un taxi, è pericoloso. Non la porteranno dove le dicono" mi mette in guardia il presunto funzionario picchiandosi manate sul tesserino. " Prenda l'autobus, è gratis. Io lavoro per il governo, non ci crede? Chieda alla polizia!" E mi indica un agente mezzo addormentato su di una sedia che, con ogni probabilità, sarebbe il primo a prendersi una parte dei soldi che vorrebbero spillarmi. Per fortuna, conosco la truffa del bus gratuito, così mi siedo su di un muretto, questo un po' li spiazza, perché non mi mostro abbastanza preoccupato e il loro scopo è quello di farmi decidere alla svelta, senza darmi il tempo di riflettere. Dopo qualche secondo di tregua, però, tornano all'attacco tutti insieme. I tassisti, nel frattempo, incominciano ad abbassare i prezzi. Quando uno arriva a chiedermi 35 dollari, accetto. L'uomo con il tesserino non si da’ per vinto, mi insegue quasi strattonandomi e supplicandomi, per la mia sicurezza, di non salire sull'auto. " La faranno sparire- grida con tono drammatico, la prego di credermi!". Non molla finché la portiera non si è chiusa. Quando partiamo tiro finalmente il fiato. Ora posso smettere di preoccuparmi che qualcuno mi derubi in mezzo a tutta quella confusione creata ad arte. La Cambogia mi ha dato il benvenuto che spetta a chi sceglie la via di Poipet. Dal finestrino sfila un paesaggio simile a quello thailandese solo per il verde intenso e le sterminate risaie punteggiate di palme. Per il resto, le casette e le ordinate palafitte hanno ceduto il passo ad un fila di
baracche malconce e cadenti. Nessuna città, o meglio nulla che un occidentale chiamerebbe così. La povertà è qualcosa di tangibile, presente ad ogni angolo di strada. Nei gruppi di bambini mezzi nudi, nei volti dei contadini vestiti di stracci, nelle pochissime auto che sfilano sulla strada, asfaltata forse da meno di un anno. C'è ancora tempo per un ultimo brivido quando la macchina incomincia a sobbalzare e l'autista scende per armeggiare nel cofano. Starà facendo finta? Cercherà una scusa per non portarmi a destinazione? Forse, dopo tutto, aveva ragione l'uomo con il tesserino. In fondo sono salito sull'auto di uno che non saprei nemmeno dire se sia un tassista… Per fortuna mi sbaglio e il taxi si rivela una buona scelta. Il conducente risale e si riparte. Non ci fermiamo più fino a Siem Reap, dove arriviamo in meno di due ore, sotto un cielo sempre più grigio che sembra minacciare qualcosa di più del solito acquazzone pomeridiano. Quando ritornai da Joy le raccontai tutto quello che avevo visto e quello che mi era capitato e lei con il sorriso sulle labbra mi disse: “Mai pen rai, Rinaldo”(Non preoccuparti).

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